Il valore di una persona è dato da ciò che fa o da ciò che è?
Il perché di questa domanda scaturisce da un video diventato virale su Tik Tok – 3,5 milioni di visualizzazioni e quasi 500mila like – in cui un ragazzo (ingegnere americano) di 24 anni si dichiara demotivato, stanco e senza stimoli sul lavoro, dando vita a quel fenomeno che si definisce Quiet Quitting, trend nato negli Stati Uniti ma che ha coinvolto altre nazioni, tra cui anche l’Italia.
Ma di cosa si tratta?
Letteralmente parliamo di “abbandono silenzioso”: sembrerebbe un lasciarsi andare, in ambito lavorativo, che porterebbe al licenziamento.
Ma non è così.
È un modo nuovo di concepire il lavoro in cui le attività da svolgere in azienda rimangono una priorità per i dipendenti, ma solo quelle che rimangono confinate nelle ore lavorative previste dal contratto di lavoro.
Zaid Khan, autore del video pubblicato su Tik Tok, racconta di aver imparato il termine quiet quitting, che non significa lasciare il proprio lavoro, ma evitare di fare di più di quanto richiesto.
Conclude con la frase diventata poi virale: “Il tuo valore non è stabilito dai tuoi risultati”.
Un processo culturale
La cultura del quiet quitting punta a mettere i confini tra sé e la propria professione, qualunque essa sia.
Quando le ore di lavoro finiscono si torna a casa e si pensa alla vita privata: non si è tenuti, secondo questa filosofia, a portarsi a casa pensieri, preoccupazioni o ansie dall’ufficio.
La questione non è smettere di lavorare o rinunciare alle proprie ambizioni, ma, al contrario, distanziarsi da quel sistema tossico in cui più si dà e più viene richiesto, in un circuito in cui emerge (in negativo) solo chi non si adegua.
Secondo Gallup, l’istituto di ricerca che da anni è il riferimento mondiale per il benessere sul posto di lavoro, in America i quiet quitter sarebbero addirittura la metà della forza lavoro e il trend è in continua crescita, soprattutto tra nuove generazioni, ma ovviamente non solo in America.
La Generazione Z è la prima promotrice del Quiet Quitting.
I primi sostenitori di un buon work-life balance sono proprio loro.
I cambiamenti già in atto
A questo punto è utile bloccare le critiche dei soliti benpensanti che ritengono che le nuove generazioni non abbiano più spirito di sacrificio come un tempo, e non abbiano voglia di impegnarsi e “fare gavetta”.
Inutile ricordare che lo scenario globale, rispetto a solo 20 anni fa, è completamente diverso.
i nostri ragazzi non hanno le opportunità che abbiamo avuto noi, adulti di oggi, e soprattutto sono privi di qualsiasi prospettiva che possa definirsi ottimistica.
La GenZ ha un assetto valoriale che è diverso rispetto a quello delle generazioni precedenti e che certi atteggiamenti possono apparire distanti rispetto al lavoratore standard di qualche anno fa.
E’ molto forte la predilezione per la crescita personale e per le modalità di lavoro flessibili che consentano di trovare il giusto equilibrio tra lavoro e vita privata, il valore tempo assume una priorità diversa rispetto ai soldi, seppur ovviamente molto importanti.
In conclusione, il fenomeno appare come una richiesta silenziosa di cambiamento nel mondo del lavoro.
Occorre ridefinire “le regole del gioco”.
Una classe dirigente “illuminata” capace di instillare il senso di appartenenza e più in generale “l’employer engagement” che faccia rendere nei fatti dipendenti e collaboratori parte di un team in crescita e non mercenari in lotta per la sopravvivenza in un ambiente tossico.
Ritorna sempre, come un pugno in faccia, il concetto di consapevolezza.
Sapere chi siamo, cosa vogliamo, definire il percorso utile per realizzare i nostri obiettivi, riconduce sempre a tale principio.
Sono Anita Taiani, consulente finanziaria e aiuto le persone a gestire serenamente ed efficacemente il proprio patrimonio finanziario attraverso il mio metodo “Finanza Zen”. Se sei interessato a una consulenza, contattami al numero +39 3332748377, anche su WhatsApp.